L’importante scoperta è arrivata da una ricerca guidata dall’Università Statale di Milano e condotta insieme all’Istituto Europeo di Oncologia e all’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, finanziata da AIRC e Fondazione Cariplo e pubblicata sulla rivista British Journal of Cancer del gruppo editoriale Nature. È la prima volta che viene identificato il meccanismo d’azione alla base dell’attività antineoplastica dei FANS.
Paolo Ciana – docente di Farmacologia al dipartimento di Oncologia ed Emato-Oncologia dell’Università Statale e coordinatore dello studio – spiega: “In studi preclinici e anche clinici alcuni FANS hanno dimostrato un’interessante attività preventiva sull’insorgenza di tumori. Tuttavia, per i noti effetti collaterali che insorgono quando vengono assunti per lunghi periodi di tempo, essi non sono utilizzabili per trattamenti preventivi. Tali effetti collaterali sono causati in massima parte dall’inibizione di enzimi chiamati cicloossigenasi, responsabili della loro attività antinfiammatoria. Il nostro lavoro ha dimostrato che l’azione antineoplastica dei FANS non si esplica con l’inibizione delle cicloossigenasi, ma attraverso un altro bersaglio molecolare, una deacetilasi chiamata SIRT1”.
La scoperta consentirà di studiare nuovi FANS con attività anti-neoplastica, senza produrre gli effetti collaterali dei farmaci attualmente in commercio.
La scoperta apre nuove, incoraggianti prospettive nella prevenzione e nella lotta ai tumori. Già in passato anche Harold Varmus, vincitore del premio Nobel per la Medicina e Fisiologia nel 1989, aveva inserito la elucidazione del meccanismo anti-tumorale dei FANS come uno dei maggiori passi in avanti nella prevenzione del cancro.
Oggi questo passo in avanti diventa non solo importante ma anche una necessità, considerato che nel 2018 nel mondo più di 9 milioni di persone sono morte a causa del cancro. Le potenzialità dell’approccio preventivo farmacologico sono già state sperimentate con successo nell’ambito cardiovascolare, dove si sono dimezzati decessi per malattie cardiache, mentre si sono ridotti di due terzi quelli per malattie cerebrovascolari.