Per individuare questi indizi genetici, le nostre cellule e i loro mutamenti nel tempo finiscono ora sotto la lente del piano di ricerca finanziato dall’Unione Europea con un milione di euro. Le risorse assegnate per un anno a LifeTime serviranno a sviluppare ulteriormente le potenzialità della medicina di precisione, in particolare lo studio degli organoidi.
Nel mirino tumori, malattie cardiovascolari e disturbi del sistema nervoso.
Coordinato dal Max Delbrück Center di Berlino, dall’Institut Curie di Parigi, dalla tedesca Helmholtz Association e dal National Centre for Scientific Research (CNRS) francese, LifeTime riunisce 53 istituzioni tra università e centri di ricerca di 18 paesi europei, 120 scienziati e più di 60 partner privati.
Questa poderosa alleanza è chiamata a definire, nel corso del 2019, le tecnologie più innovative per studiare il decorso delle malattie in modelli derivati da pazienti, spingendone l’analisi fino al livello delle singole cellule e a selezionare, tra gli ambiti medicalmente più rilevanti per i cittadini europei, le patologie più adatte a fare da apripista a questa radicale innovazione. Saranno implementate la CRISPR, la tecnica di editing del DNA e un nuovo database.
Ai primi di maggio a Berlino è in calendario la conferenza di lancio del progetto che si concentrerà inizialmente su tumori, malattie cardiovascolari e disturbi del sistema nervoso. Giuseppe Testa e Massimiliano Pagani – docenti di Biologia molecolare nei dipartimenti rispettivamente di oncologia ed emato-oncologia e di biotecnologie mediche e medicina traslazionale dell’Università Statale di Milano, fanno parte del pool di scienziati del progetto LifeTime. “Il programma di ricerca si articola in tre punti: – spiega il professor Testa, che fa anche parte del Direttivo del Consorzio europeo – lo studio cellula per cellula, l’adozione degli organoidi come modello di studio della malattia fuori dal corpo e l’uso dell’intelligenza artificiale per la gestione dei Big Data”.
Oltre all’ateneo milanese a LifeTime contribuiscono anche ricercatori dell’Università di Napoli, de La Sapienza di Roma e dell’Università di Padova.