Il Politecnico di Milano cresce ancora ed entra per la prima volta nel 10% dei migliori atenei al mondo, salendo al 139° posto e confermando anche per l’ottavo anno il primato in Italia.
Oltre questa eccellenza, il sistema italiano non può considerarsi del tutto soddisfatto da quanto emerge dal QS World University Rankings 2023: anche se nella classifica rientra ben il 40% delle università italiane, delle 41 classificate solo sei migliorano il proprio punteggio.
Il QS World University Rankings – la più accreditata classifica internazionale sulla qualità degli atenei – che quest’anno comprende 1.418 università contro le 1.300 dell’anno precedente apre inevitabilmente una riflessione sullo stato di salute delle università italiane.
Tra i criteri utilizzati dagli analisti della Quacquarelli Symonds: reputazione accademica (secondo oltre 151 mila docenti) e presso i datori di lavoro (ne consulta circa 40 mila), citazioni dei ricercatori, rapporto docenti-amministrativi/studenti – nota dolente per il sistema italiano -, il grado di internazionalizzazione e, da quest’anno, occupabilità e capacità di fare rete nella ricerca.
Ai vertici mondiali si trova, come ormai da un decennio, il MIT- Massachussetts Institute of Technology – al secondo sale invece un ateneo inglese, con Cambridge che scalza la connazionale Oxford (scesa al quarto posto), al terzo e quinto posto rispettivamente Standford e Harvard.
Tra le prime 15 università al mondo si trovano però anche gli atenei cinesi di Pechino e Tsinghua, con quest’ultima, tra l’altro, il PoliMi ha attivato due programmi di doppia laurea magistrale, in Ingegneria Gestionale e Design.
In Italia, si registra il fatto che il 40% degli atenei si posiziona tra i primi 300 al mondo per la ricerca: nessun altro Paese in Europa fa meglio.
L’Italia risulta poi al 6° posto per numero di citazioni, e il 46% della nostra produzione di ricerca è condotta con collaboratori transfrontalieri: più del doppio della media mondiale. Terza al mondo per le ricerche prodotte e pubblicate sul Covid-19, dietro solo a Stati Uniti e Cina.
“L’Italia – certifica anche Ben Sowter, vicepresidente di QS – ha dimostrato un’eccellente resilienza durante la pandemia, la performance generale è allineata con la media europea, a eccezione di Francia e Portogallo che sono migliorati nei risultati”.
D’altra parte, solo sei università italiane migliorano le proprie performance rispetto allo scorso anno.
In testa il PoliMi, che guadagna tre posizioni (in tutto, negli ultimi sei anni ne ha scalate ben 48): soprattutto grazie a reputazione accademica – è al 96° posto mondiale, dietro all’Alma Mater di Bologna al 73° e alla Sapienza di Roma al 74°-, e al giudizio dei datori di lavoro privati, per cui ottiene l’80° posto al mondo nell’employer reputation.
A crescere sono anche il Politecnico e l’Università di Torino, la Federico II di Napoli, la Cattolica di Milano e il Politecnico di Bari. Ma altre 21 università perdono posti in classifica, 14 rimangono stabili.
Risultano insufficienti aule e laboratori, e molto alto è il rapporto tra il numero di docenti/personale amministrativo e studenti.
In cifre: i docenti universitari italiani sono oltre 55.400 (dati MUR, anno 2019/2020), mentre nel 2008 erano 63 mila. Questo significa che negli atenei italiani ci sono in media più di 20 studenti per professore, come ricordato nel rapporto redatto dalla Commissione Cultura del Senato e presentato lo scorso autunno: ben più che in Germania (dove ogni professore gestisce solo 12 studenti per lezione), Spagna (12,3), Portogallo (14,3), Regno Unito (15,4) e Francia (16,8).
Insufficiente anche il grado di internalizzazione: gli atenei italiani risultano ancora poco capaci di attrarre studenti e docenti stranieri.
Per il rettore del Politecnico di Milano Ferruccio Resta, che è anche alla guida della CRUI, migliorare i risultati del sistema accademico italiano si può: “Per farlo servono delle riforme strutturali, che premino l’eccellenza e che rendano i nostri atenei attrattivi a livello globale”.
Quanto alla crescita costante del PoliMi nel QS ranking, Resta osserva: “È stato possibile raggiungere questi risultati grazie ad azioni precise che abbiamo portato avanti negli ultimi sei anni. Tra cui quella di consolidare il rapporto con il territorio e con le aziende, grazie al sostegno alle startup locali e allo sviluppo d’impresa, con la creazione di numerosi JRC.